Di Francesca Ravelli
E’ poco più di un anno che faccio parte di questa squadra. In questi mesi ho avuto modo di capire che non è poi vero in assoluto che la corsa sia un sport individuale: gli allenamenti di gruppo, la condivisione della fatica e del sollievo, il tifo, la tenda… Ma l’avevo già intuito a pochi mesi dal mio esordio all’Arcoveggio: ci vogliono costanza e determinazione nella corsa, forza di volontà e spirito di sacrificio, coraggio e intelligenza – tutte qualità assolutamente individuali; ma “la squadra”, il sentimento del “far parte di un gruppo”, che condivide con te delle motivazioni che per qualcun altro sono totalmente incomprensibili, che “capisce” l’odio-amore per la fatica, quell’irrazionale desiderio di spingersi al limite… Ecco, questo senso di appartenenza è uno sprone che non ha pari! E allora torniamo a un anno fa.
La sera della Staffetta del Pioppeto Mattei 2015. Io ero da sola a correre all’Arcoveggio e pensavo (da soli si pensa di più e – a volte – peggio) e solo intuivo quello che stava succedendo ad un altro capo della città. Intuivo, sì, perché io di staffette non ne avevo mai fatte, ma istintivamente tuttavia invidiavo tutti coloro che vi potevano prendere parte (io non ero ancora tesserata…).
Perciò quest’anno, quando il mitico Giuliano ci ha proposto un Campionato di staffette, non ho avuto dei dubbi, un po’ di strizza sì – e anche un bel po’ – ma nessun dubbio!
Quindi giungiamo alla prima prova, l’esordio in squadra: la Staffetta di Primavera ad Anzola Emilia, il 31/05/2016. Comincio arrivando straordinariamente presto per il mio solito (salvo poi girovagare per una mezz’ora abbondante alla ricerca della tenda). Sperimento una tensione nuova, diversa dalla solita, condita dal senso di responsabilità e di appartenenza. Ma perché è così importante correre? Non correre veloce in assoluto, ma correre al proprio massimo? Perché noi runners, podisti o corridori – extraterrestri per altri gruppi di uomini e donne – riusciamo a sovvertire la più ordinaria scala delle priorità e ad investire così tanto in poco più di mille metri di intensità pura? Anche qui c’entrano componenti individuali: la personale aspirazione (e anche un po’ di narcisismo, diciamocelo!), la dipendenza da Adrenalina (prima) e da Endorfine (dopo), la necessità di incanalare in pura fisicità (in muscoli che urlano e polmoni che implodono) qualche personale frustrazione, un senso di ingiustizia, un dolore, l’insoddisfazione esistenziale.
Ma stasera c’è altro: non corriamo per noi soli e per i nostri “io” più o meno intricati, corriamo anche per il nostro gruppo, leggiamo negli occhi degli altri tutto quello che ci rende simili: i nostri “perché corriamo” si incontrano e si riconoscono. Allora quello che conta è esserci, quello che ti riempie è sentire di mettercela tutta: per me, per la compagna cui passerò il testimone, per quelli che mi incitano, perché sanno come ci si sente, perché stasera quelli che ho intorno sono fatti come me: semplicemente non sanno come si fa a vivere senza emozione! Nessun runner-podista- corridore lo sa, probabilmente nessuno sportivo vero.
Poi, ora che ci penso, forse era un articolo sulle staffette quello che dovevo scrivere. Forse dovevo parlarvi dei risultati, dei crono parziali e totali. Ma non è per questa sola ragione che corriamo le staffette… e poi, coi risultati, è più bravo il Presidente!