La relazione fra età e prestazione


da www.albanesi.it


 

L’invecchiamento? Un terribile incubo. Il sogno di ogni runner (questo articolo è dedicato alla corsa, ma molti
concetti rimangono validi per ogni attività sportiva) è quello di riuscire a migliorare sempre la propria
prestazione, tanto che molti smettono di correre quando, in stallo o in calo di prestazioni, non riescono a
trovare una motivazione che sostituisca il record personale.
Diventa pertanto naturale la domanda: come cala la prestazione con l’età?
L’ovvia risposta “dipende dal caso personale” in realtà non soddisfa nessuno, perché scopo della risposta è
proprio stabilire qual è il miglior invecchiamento possibile.

Purtroppo non esistono ancora certezze, anche se il grado di approssimazione si riduce sempre più grazie alla mole di dati che vengono raccolti a livello mondiale sull’attività di runner ormai attempati. Purtroppo i dati non sono pienamente significativi perché spesso si riferiscono ad atleti che non sono mai stati campioni in assoluto e che magari hanno stabilito il record della loro categoria solo perché in quel momento si sono trovati sotto i riflettori e hanno “dato tutto”; viceversa, campioni a 30 anni hanno poi smesso l’attività perché logorati da una lunga carriera e non si può sapere se avrebbero potuto sbriciolare gli attuali record master.
Sinteticamente, i parametri che più contano per la prestazione sono:
  1. Allenamento
  2. Motivazione
  3. Peso
  4. Infortuni.
Il primo punto è ovvio: se cala il valore dell’allenamento (qualitativamente o quantitativamente), una parte del calo della prestazione è da attribuire alla diminuita efficacia dell’allenamento. I punti 2 e 4 sono la causa indiretta più frequente di una diminuzione dell’efficacia dell’allenamento, anche se non si deve sottovalutare una diminuzione in sé dovuta proprio all’età (minori capacità di recupero).
Il punto 2 è legato alla psicologia del soggetto, ma spesso si nota un calo una volta che, con l’età, l’amatore è uscito dalla fase del recordman. In genere il calo di motivazione può non esserci o essere molto contenuto solo se la prestazione è sostituita da altre notevoli gratificazioni (per esempio i risultati di categoria).
Il punto 3 è quello che riguarda soprattutto gli atleti di punta in giovane età. Paradossalmente, a differenza di molti amatori di medio livello, sono soggetti meno attenti all’alimentazione, forse anche perché qualche chilo di troppo non vieta loro di eccellere comunque nelle categorie amatoriali.
Il punto 4 è responsabile di invecchiamenti a gradino; in occasione di infortuni particolarmente gravi e di lunghi periodi di inattività totale (superiori ai due mesi) l’invecchiamento accelera.
Dopo circa 20 anni di raccolta dati, è possibile comunque formulare una tabella d’invecchiamento ottimale molto attendibile. “Ottimale” significa che ben pochi riescono a rispettarla (dovrebbero gestire al meglio i quattro punti sopraccitati), ma che esistono atleti “eccezionali” per i quali è verificata. Convenzionalmente si fissa l’inizio della fase d’invecchiamento a 30 anni, ma tale età è solo indicativa, come media con estremi significativamente presenti nella popolazione a 25 anni (invecchiamento precoce) o 35 (invecchiamento tardivo).
  • Dai 30 ai 40 anni: 0,5″/km.
  • Dai 40 ai 50 anni: 1,5″/km.
  • Dai 50 a 60 anni: 2″/km.
  • Dai 60 ai 70 anni: 2,5″/km.
Così un atleta che per esempio a 45 anni corre i 10 km a 4′/km, a 60 anni li dovrebbe ottimalmente correre a 4’27″5/km.
Come detto, questo è l’invecchiamento ottimale. Non devono essere ottimisti tutti coloro che sembrano immuni dall’invecchiamento solo perché nel tempo sono migliorati i fattori 1, 2 e 3 (allenamento, motivazione e peso); si consideri per esempio un jogger che inizia a correre una maratona a 30 anni, poco allenato, sovrappeso e con scarsa esperienza. Negli anni ci prende gusto e a 50 anni con un allenamento e un fisico perfetto corre la maratona più veloce che a 30 anni, simulando un invecchiamento addirittura negativo, cioè un ringiovanimento!